Ordinanza n. 466 del 1991

 

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ORDINANZA N. 466

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Dott. Aldo CORASANITI                                         Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                   Giudice

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 258, quarto comma, del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), come sostituito dall'art. 1 del decreto legislativo 7 dicembre 1990, n. 369 (Ulteriore prolungamento dei termini per le indagini preliminari nel regime transitorio) promossi con n. 7 ordinanze emesse il 14 febbraio 1991 dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Avellino, iscritte rispettivamente ai nn. 295, 296, 297, 298, 299, 300 e 301 del registro ordinanze 1991 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella camera di consiglio del 10 luglio 1991 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

Ritenuto che, a seguito di richiesta del pubblico ministero di emissione di decreto penale di condanna, relativamente a sette distinti procedimenti penali, il giudice per le indagini preliminari presso la pretura di Avellino, con altrettante ordinanze di identico contenuto emesse il 14 febbraio 1991, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 76 della Costituzione, dell'art. 258, quarto comma, del decreto legislativo 28 luglio 1989 n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), come sostituito dall'art. 1 del decreto legislativo 7 dicembre 1990 n. 369 (Ulteriore prolungamento dei termini per le indagini preliminari nel regime transitorio);

che, ravvisata la rilevanza delle questioni ai fini della decisione sull'ammissibilità delle richieste del pubblico ministero, in relazione alle date in cui esse sono pervenute, il giudice rimettente sospetta di incostituzionalità la disposizione impugnata, nella norma che dispone la proroga di diritto per dodici mesi dei termini delle indagini preliminari, cui è collegata una eguale proroga dei termini per l'esercizio dell'azione penale mediante richiesta di emissione del decreto penale di condanna, per i procedimenti relativi alle notizie di reato pervenute agli uffici della procura della Repubblica dalla data di entrata in vigore del codice fino al 31 maggio 1990;

che, ad avviso del giudice a quo, il contrasto si porrebbe innanzitutto con l'art. 76 della Costituzione, atteso che, mentre la legge-delega 16 febbraio 1987 n. 81 prevede (direttiva n. 48) il "potere-dovere del giudice" di concedere, a richiesta del pubblico ministero e "sentite anche le altre parti", proroghe del termine per la conclusione delle indagini non superiori ciascuna a sei mesi, la norma impugnata dispone, da un canto, una proroga di diritto (e non invece concessa dal giudice sentite le altre parti, con connessa violazione, sotto questo profilo, anche dell'art. 24 della Costituzione) e, dall'altro, una più lunga proroga di dodici mesi anziché di sei;

che sarebbe altresì violato l'art. 3 della Costituzione, per irrazionalità di discipline difformi, quanto ai termini, rispettivamente per i procedimenti relativi a notizie di reato pervenute entro il 31 maggio 1990, per i quali i termini delle indagini preliminari verrebbero a scadere il 1° marzo 1992 (calcolata anche, per due volte, la sospensione dei termini nel periodo feriale) e per i procedimenti, relativamente ai quali il nome della persona cui il reato è attribuito sia stato iscritto nell'apposito registro il 1° giugno 1990, per i quali gli stessi termini (computato il periodo feriale) verrebbero a scadere il 16 gennaio 1991;

che, sotto un ulteriore profilo, la stessa norma impugnata violerebbe l'art. 76 della Costituzione, poiché, nella legge-delega (direttiva 48) è previsto l'obbligo per il pubblico ministero di concludere comunque le indagini entro 18 mesi dall'iscrizione del nome dell'indagato nel registro e tale obbligo sarebbe vanificato dalla norma denunciata;

che irrazionale ed esorbitante dai limiti della delega, con conseguente ulteriore violazione degli artt. 3 e 76 della Costituzione, sarebbe poi la previsione, sempre contenuta nella disposizione impugnata, che per la proroga di diritto si faccia riferimento alla data nella quale le notizie di reato sono "pervenute" agli uffici della procura della Repubblica, mentre la legge-delega considera sempre la data di "iscrizione" del nome dell'indagato nel registro;

che, infine, nelle ordinanze di rimessione si contesta che la disposizione impugnata abbia la natura di "norma transitoria", in quanto essa, nonostante la rubrica dell'articolo in cui è collocata ("procedimenti che proseguono secondo le disposizioni del codice"), concerne i procedimenti sorti nel periodo dal 24 ottobre 1989 al 31 maggio 1990, e cioè nella vigenza del nuovo codice;

che non si sono costituite le parti, mentre è intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha eccepito la inammissibilità della questione per assoluto difetto di rilevanza, sostenendo che il giudice rimettente era stato investito dal p.m. di una richiesta di emissione di decreto penale di condanna e non di una richiesta di proroga delle indagini, e che, nella disciplina transitoria posta dalla norma impugnata, la speciale previsione del termine entro il quale è consentito al p.m. di esercitare l'azione mediante richiesta di emissione del decreto penale (v. ultimo periodo del comma) è tenuta ben distinta dalla previsione relativa alla proroga legale dei termini per le indagini;

che, di conseguenza, nel caso sottoposto alla cognizione del giudice del rinvio non verrebbero in evidenza aspetti riguardanti l'"ultrattività" di indagini rispetto alla disciplina ordinaria del codice (art. 553 c.p.p.), dovendosi fare applicazione della normativa transitoria che consente, entro un certo tempo dalla data di entrata in vigore del codice, la presentazione della richiesta di decreto penale anche oltre l'ordinario termine, di sei mesi, previsto dall'art. 459, primo comma, c.p.p;

che, quanto al merito, l'interveniente contesta la fondatezza di tutte le censure, ritenendo la deroga alla disciplina ordinaria sui termini legittimata dalla natura transitoria della norma, la cui estensione temporale è manifestazione del potere discrezionale del legislatore.

Considerato che i giudizi indicati in epigrafe concernono tutti le medesime questioni e possono perciò essere riuniti per essere decisi con unica pronuncia;

che, preliminarmente, va disattesa l'eccezione di inammissibilità, sollevata in tutti i giudizi dall'Avvocatura generale dello Stato, nell'assunto dell'irrilevanza delle questioni aventi per oggetto la norma di diritto transitorio che concerne la proroga del termine per le indagini preliminari, mentre nei giudizi a quibus verrebbero in evidenza profili attinenti alla proroga del termine per la richiesta del decreto penale di condanna;

che, in proposito, devesi osservare che nella disposizione impugnata, riguardante le notizie di reati pervenute nell'immediatezza dalla entrata in vigore del codice, la norma che concerne la proroga del termine per la conclusione delle indagini preliminari e quella che concerne la proroga del termine per la richiesta del decreto penale sono fra loro collegate, in quanto il secondo termine è prolungato in misura pari al prolungamento del primo, per cui rettamente le ordinanze di rimessione hanno investito la disposizione nel suo complesso;

che, nel merito, le questioni, sollevate in riferimento agli artt. 76, 3 e 24 della Costituzione, sono manifestamente infondate perché, per quel che riguarda l'art. 76, il richiamo alla direttiva n. 48 della legge di delega - che prevede il potere dovere del giudice di concedere, a richiesta del p.m. e sentite le altre parti, proroghe del termine per la conclusione delle indagini preliminari non superiori a sei mesi, nonché l'obbligo per il p.m. di concludere comunque dette indagini nei 18 mesi dalla registrazione della notitia criminis - è, nella specie, inconferente, in quanto detta direttiva riguarda la disciplina ordinaria del codice di procedura penale e non pone ostacoli alla possibilità di prevedere, nella disciplina transitoria, proroghe di diritto dei suddetti termini, se ciò risponda alle esigenze proprie del passaggio dalla precedente alla nuova disciplina processuale, esigenze, il cui apprezzamento rientra - con l'unico limite della ragionevolezza che in questo caso non appare superato, trattandosi di una deroga di breve durata - nella sfera di discrezionalità del legislatore;

che, di conseguenza, per quel che riguarda il riferimento all'art. 3 della Costituzione, non può ritenersi irrazionale che, da un lato - diversamente da quanto stabilito nella disciplina ordinaria in cui la possibilità di proroghe del termine in parola è prevista ope iudicis - le norme impugnate dispongano, relativamente alle notizie di reato pervenute entro il 31 maggio 1990, la proroga di diritto del termine per la conclusione delle indagini preliminari e per la richiesta del decreto penale di condanna, e che, dall'altro, per effetto di tale proroga, i termini stessi, concernenti i procedimenti relativi a notizie di reato pervenute negli ultimi giorni del periodo transitorio, vengano a spirare dopo la scadenza di quelli relativi ai procedimenti sorti sulla base di notizie di reato pervenute successivamente (e ciò anche nell'ipotesi che questi ultimi termini siano ope iudicis prorogati al massimo consentito);

che, difatti, una eventualità del genere, è giustificata dalle peculiarità proprie del regime transitorio, dettato dall'esigenza di graduare la fase del passaggio dalla precedente alla nuova disciplina processuale, mediante deroghe al regime ordinario legate a contingenze destinate ad esaurirsi nel tempo, per cui non può ritenersi irragionevole che tali deroghe possano dar luogo a sfasature temporali connesse alla transitorietà del fenomeno;

che, per quel che riguarda l'art. 24, indicato dal giudice a quo in relazione all'art. 3 della Costituzione, non può ritenersi violato, come si asserisce, il diritto della difesa per il fatto che - diversamente da quanto stabilito nella disciplina ordinaria relativamente alle proroghe concedibili ope iudicis - il prolungamento disposto ope legis dalla disciplina transitoria non consenta invece la previa audizione delle parti;

che, al riguardo, è sufficiente osservare che quest'ultima proroga opera di diritto per tutti i processi instaurati in uno stesso limitato periodo, mentre l'altra, in tanto esige il rispetto della regola del contraddittorio, in quanto è disposta su richiesta del pubblico ministero per le esigenze proprie di un determinato processo ed in virtù di un provvedimento del giudice;

che manifestamente infondata è anche la questione sollevata, per violazione degli artt. 3 e 76 della Costituzione, nell'assunto che la proroga di diritto prevista dalla norma impugnata si riferisce alla data nella quale la notizia di reato è pervenuta agli uffici della procura della Repubblica, mentre la legge delega si riferirebbe sempre alla data di registrazione del nome dell'indagato, per cui "ove tale iscrizione non sia avvenuta ( ..) non vi è motivo di prorogare un termine del quale non è ancora iniziata la decorrenza";

che, in proposito, (a voler condividere l'interpretazione da cui, in difformità da quella espressa nella relazione governativa allo schema di decreto legislativo n. 369 del 1990, muove il giudice a quo, secondo cui il momento di decorrenza del termine fissato dalla disciplina transitoria sarebbe diverso da quello della disciplina ordinaria) valgono le medesime considerazioni già svolte in precedenza circa la non pertinenza del richiamo, relativamente alla disciplina transitoria, dei principi e dei criteri dettati dalla legge di delega per la disciplina ordinaria, rispondendo la prima, come si è detto, ad esigenze connesse alla transitorietà del fenomeno che giustificano la diversa individuazione del momento di decorrenza del termine, fatto coincidere con quello in cui la notizia di reato sia pervenuta agli uffici anziché con quello - previsto nel regime ordinario - in cui sia avvenuta la registrazione del nome dell'indagato, non essendovi alcun motivo che induca a ritenere in sé irragionevole la scelta del legislatore di far decorrere il termine da quel momento;

che, di conseguenza, una volta ritenuta non irragionevole questa scelta, perde significato il rilievo, formulato dal giudice a quo, secondo cui non vi sarebbe motivo di prorogare un termine non ancora iniziato a decorrere;

che, infine, manifestamente infondata è la questione sollevata nell'assunto che la norma denunciata, "nonostante la collocazione e la titolazione del decreto legislativo 369/90", sarebbe tutt'altro che transitoria, riguardando "provvedimenti sorti sotto il vigore del nuovo codice";

che, in proposito, non appare censurabile che, allo scopo di assicurare una opportuna gradualità nella fase del passaggio dalla precedente alla nuova disciplina processuale, siano state previste alcune deroghe temporanee - non contrastanti con le linee di fondo della disciplina ordinaria e con il diritto di difesa costituzionalmente garantito - anche per procedimenti sorti nel periodo iniziale della entrata in vigore del nuovo rito, coinvolti, come quelli sorti in precedenza, nella eccezionale situazione di difficoltà organizzative degli uffici giudiziari, inevitabilmente connesse alla fase di avvio del nuovo codice; deroghe, in sé giustificate dalla transitorietà del fenomeno e, purché aventi breve durata, censurabili solo qualora risultassero in contrasto con precisi parametri costituzionali, il che per le ragioni svolte in precedenza non è dato di ravvisare.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Riuniti i giudizi.

Dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 258, quarto comma, del decreto legislativo 28 luglio 1989 n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), come sostituito dall'art. 1 del decreto legislativo 7 dicembre 1990 n. 369 (Ulteriore prolungamento dei termini per le indagini preliminari nel regime transitorio), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 76 della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari presso la pretura di Avellino con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 1991.

 

Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

Depositata in cancelleria il 13 dicembre 1991.